Edelwatt – la finalissima (foto di Diana Gabrielli)

Rockin Carnival – The Battle, le foto

Le foto della serata del 29 dicembre, svoltasi presso l’Edelweiss.
Protagonisti della serarta:

Four Roses Experience
The Sinking Lads
Stan’s Law
Videoteque

Faccio cose, vedo gente: Levy

Da dx verso sx: Matteo Pagnoni, Damiano Cherchi, Luca Pichineli

Una chiacchierata di circa due mesi, fatta via e-mail, fatta con calma e prendendosi i propri tempi, rilassati e al contempo soppesati.
Questo, può essere il sunto, dell’intervista fatta a Matteo Pagnoni, cantante e chitarrista dei Levy (gli altri sono Damiano Cherchi al basso ed il nuovo acquisto Luca Pichineli, nuovo acquisto, alla batteria), che ci ha parlato del nuovo disco (in lavorazione), del suonare in giro per l’Italia, dei cambiamenti accorsi all’industria musicale e al consumo di musica e ci come, a volte, diventi difficile, seguire questa passione che si chiama “musica”.

(link: pagina fb , soundcloud, blog, youtube)

Levy, 2 dischi alle spalle, tanta strada e molti palchi calcati. Quando e come inizia questa storia musicale e chi ne fa parte ?

Parte il tutto da un parto personale, nel corso del 2009, si è poi concretizzato il tutto l’anno successivo. E’ iniziato un nuovo percorso un pò come fa la flora a nascere, un seme muore e nasce una nuova pianta. Nel 2009 è morto un mio progetto rock, fatto da 5 elementi, che come una supernova è esploso.
Da lì sono ripartito, da solo. Poi ho registrato il primo disco suonando quasi tutto, con l’ausilio di qualche amico musicista.
Fatto il disco avevo bisogno di una band in assetto live. Sono spuntati basso e batteria e con loro ho instaurato un rapporto abbastanza duraturo. Nel 2015 di quella formazione a tre sono rimasto io e Damiano il bassista. Attualmente alla batteria c’è Luca, sostituto del vecchio batterista Mirko, con il quale ho condiviso belle esperienze e palchi importanti.

“Seguimi” e “Poverovcidente” il ritolo dei lavori. Attualmente, ho letto sulla vostra bacheca, che siete al lavoro sul terzo disco, cantato in inglese però. Come mai questo cambiamento ? Sopratutto in un periodo dove molti gruppi passano all’italiano. Allargamento degli orizzonti e, forse, anche un modo per rompere con una “scena” sempre più stagnamte ?

Non ce l’ho mai fatta a stare dentro qualcosa, come ad esempio una “scena”, non lo faccio con l’intento, ma sono proprio incapace nel rispetto di certi canoni. Volevo fare il terzo disco diverso, in tutti i sensi, anche nella lingua e ho deciso così. Credo che si tratti più di un allargamento di orizzonti, una bella carrettata di stimoli nuovi. Finora funziona, poi per i risultati ci dobbiamo confrontare più in là.

Visto che ne hai parlato, dove sta andando a parare il nuovo disco dei Levy, in che acque sonore state nuotando insomma ?

Rispetto all’album precedente ci siamo scelti un bel mare rock senza confini, questo credo sia un punto fermo. Abbiamo cambiato proprio un bel pò di cose, abbandonando per il momento quella struttura compositiva quasi prog, a favore di atmosfere e melodie digeribili facilmente.
E’ tutto meno cerebrale e più di pancia, potrei quasi dire che questo lavoro sarà finalmente quello che volevo. Venendo fuori in questo momento, a quasi 5 anni di distanza dal primo album era inevitabile l’effetto “sfogo”, con la conseguente carica adrenalica che si mescola con i suoni.

In questo cambiamento, ha aiutato anche il passaggio alla lingua inglese ? Più diretta ed essenziale rispetto all’italiano.

Si, l’inglese sta dando una mano, parecchio, davvero più essenziale e diretto. Questo passaggio non segna un abbandono dei testi in italiano in ogni caso. Una band è libera di far passare il proprio messaggio attraverso il veicolo che vuole. In questo caso ho deciso che la mia musica non doveva essere solo per gli italiani ma per un pubblico più ampio.

Venendo ai testi, quanta e quale importanza ricoprono nel progetto Levy ? Personalmente, anche a livello testuale, vedo una netta tendenza verso testi “importanti”, se me lo concedi.

Forse meno importanti dei precedenti in italiano. Riguardano tantissimi argomenti, il disco non sta procedendo come un concept. C’è una canzone, ed è quella che credo ti sia saltata agli occhi, dedicata ad una persona cara che non c’è più. Ha un testo decisamente importante. Le restanti liriche certamente non riguardano mode, slogan populisti o testi leggeri, ma hanno un approccio più da esperienza personale che da depositari della verità. E questo è stato uno sviluppo interessante dal precedente lavoro.

Cambiando un attimo argomento,  suoni da parecchio tempo, Levy è solamente la tua ultima incarnazione musicale. Come hai visto cambiare (se lo hai visto cambiare) il mondo della musica, e anche la sua fruizione ?

Lo smartphone ha cambiato tutto. Le maledette playlist fatte a compilation hanno rovinato tutto.
Pochi ascoltano album interi, si preferisce fare un buffet musicale, un brodetto. Certo anche il brodetto è fantastico ma davvero vogliamo “consumare” musica? O vogliamo ascoltare?
Il pubblico in Italia vuole tutto e subito, sembra essere affetto da ear culatio precox, capisci il gioco di parole…
Nota positiva ora posso ascoltarmi band semisconosciute italiane e straniere, ogni tanto c’è roba davvero buona.

So che sei un appassionato di liuteria e attento conoscitore del mercato (chitarristico). Ecco volevo approfittare per chiederti un giudizio sulla moda dello strumento vintage, come vedi cambiato il mercato nel corso degli anni (sopratutto con le produzioni a basso costo cinesi e orientali) e um tuo giudizio sui marchi storici italiani, tipo la EKO.

Il vintage, un po’ come tutte i fenomeni sociologici, ha portato cose carine e cose detestabili. Spiego meglio. In campo liuteristico l’unico vintage degno di nota è quello delle produzioni sessantiane e settantiane a lavorazione manuale o semi, come il caso di molte fender e gibson costruite e selezionate da mastri liutai di prim’ordine. Noi abbiamo avuto wandre, eko, crucianelli, meazzi, davoli, etc… Roba di tutto rispetto.
C’è un neo purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Ci sono in vendita alcuni strumenti mediocri a prezzi esorbitanti. Chitarre già invendibili all’epoca di fascia economica. Facendo un esempio potremmo dire che una chitarra che oggi vale 150 euro verrà venduta tra 40 anni, sotto dicitura “vintage” a 700. Nulla di più sbagliato, ma è quello che sta succedendo, perciò consiglio di analizzare bene materiali e tecnica costruttiva. In alcuni casi il “vintage” tarocco sta bene appeso ad un chiodo.
La Eko? Croce e delizia. Fa cose incredibili e a basso costo ma ogni tanto scelte di mercato incomprensibili. Manca un prodotto tutto italiano sulla fascia media di prezzo, ma questo lo imputo alla pressione fiscale italiana alle stelle.

Faccio cose, vedo gente: Four Roses Experience

four roses experience

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie … Il punk, io canto” [ Ariosto, sii clemente ].
Four Roses Experience, 3 ragazzi (al secolo Domenico Del Zompo – chitarra, voce, Luca Pierantozzi- basso, cori, Matteo Capriotti-batteria) alle prese con la passione & la voglia di esprimersi, in barba ai tecnicismi.

Un approccio ed un modo di fare, il loro, per certi versi simile a certi giocatori d’antan, tutti sudore, cuore, corsa (e sana autoironia). Suonare for fun, per il piacere di farlo e perchè senti che (in quel momento) non puoi fare altro.

Nota: l’intervista è avvenuta tramite chat, e ne conserva lo spirito caotico.

Partiamo: iniziamo con un classico, quando nasce la band ?

L. P. 15 Agosto 2012

A ferragosto ? La storia ? Come è andata ?

L. P. Qualche mese prima c’era Matteo che voleva mettere su una band
D.D. Z. Si può scrivere che… è colpa della “nottata di ferragosto” ?
L.P. Lui suonava la batteria [ Matteo Capriotti ], io il basso e decidemmo di trovare uno che suonasse la chitarra con i denti
D.D. Z. Presente
L. P. Incontrammo Domenico a ferragosto. Il cantante però non siamo riusciti a trovarlo e quindi lui ha pure schifosamente preso il microfono
D.D.Z. Sono stato costretto!

Ok, e il punk chi lo ha portato ?

D. D. Z. Non il bassista, che suonava col coretto della chiesa. Seriamente, il punk viene dalla mancanza di mezzi e la voglia di fare una musica poco incline ai tecnicismi.
M. C. Abbiamo scelto un genere caduto un po’ nel dimenticatoio e abbiamo improvvisato qualcosa senza pensarci tanto su…
L. P. Siamo tutti e tre fan di Clash, Ramones, Sex Pistols… È questo quello che ci ha indirizzato nella scelta

Ma anche del rock più classico, in sala prove al Cg vi ho sentito fare i Creedence E pure Rino Gaetano …

D.D.Z. È che siamo troppo bravi… Beh, Rino Gaetano era punk nell’anima. John Fogerty, beh… Alzo le mani. Il migliore di tutti per me è e sarà sempre The Punkrock Warlord, Joe Strummer.
L. P. Giusto per scaldarci le mani, sono cover … Potremmo fare anche gli Iron Maiden. Noi scriviamo canzoni rock molto influenzate dallo stile grezzo del punk, le cover sono una questione a parte.

Le prime esperienze live ?

L.P. Jam Session al Florentia …
D. D. Z. Si, poi in radio
L.P. Radio Studio Erre, una radio locale che si trova a Pagliare
D.D. Z. Quella. Eravamo in quattro, ma solo in tre condividevamo lo stesso genere di appartenenza quindi Capriotti [ il batterista ] ha “licenziato” il chitarrista [ il nucleo iniziale della band infatti era composto da 4 membri ndr ] e le cose sono migliorate da li
L.P. Comunque uno dei primi live “ufficiali” è stato al Music Arena [ manifestazione organizzata dal CentroGiovani nel luglio 2014 ndr ]
D.D.Z. Il primo live ufficiale della Band composta dalla lineup definitiva, si.

In 3 è meglio, insomma …

D.D.Z. Si, siamo ufficialmente un power trio
M. C. Mi sembrava la scelta più logica, quella di suonare in tre. Il NOSTRO materiale doveva rispecchiare il NOSTRO genere, non avremmo potuto stravolgerlo, ci piace così.

Dopo la Music Arena è arrivata anche la scrittura di pezzi autografi ?

L.P. Yes
D.D.Z. C’erano già prima, in realtà. Abbiamo iniziato a lavorarci seriamente dopo perché non siamo interessati a portare in giro solo cover, non siamo una coverband.

Ok. Iniziamo con le domande serie: a livello locale, come vedete la situazione per la musica ?

D.D.Z Pessima. Più che a livello di musica, il problema è la questione culturale.
L.P. La musica c’è, ma non ha abbastanza spazio

Ma è più mancanza di spazi o disinteresse del pubblico verso proposte che non siano, in qualche modo, preconfezionate ?

D.D.Z. Gruppi di qualità ci sono, ma i locali tendono a proporre live con gruppi già noti o generi che esulano dalla nicchia. Si cerca di colpire la massa relegando le realtà emergenti in un angoletto
L.P. Direi entrambe..
D.D.Z. Insomma, nessuno scommette sulla novità. La strada vecchia è la più sicura

A livello di band emergenti invece ? Si riesce a fare rete ? Oppure anche lì siamo alle solite ?

L. P. Pochissimi locali danno spazio a gruppi emergenti.. In questa zona
D.D.Z. Per quello che ho visto la qualità c’è, ma senza dare spazi a chi fa musica poi non si crea un seguito. “Laggende che suona poi si deprimono”

Insomma non tutti sono presi dalle sirene di X-Factor, nel sottobosco, no ?

D.D.Z. Per me si. Oh, ma Matteo è morto?
L.P. Sta consegnando i coriandoli
M.C. Eccomi

Four Roses Experience, i chi, come, dove, quando e perché del nome

D.D.Z. Dunque… È sempre complicato rispondere a sta domanda
M.C. L’idea era di Luca
L.P. Four Roses perché quando decidemmo di suonare insieme stavamo bevendo il Four Roses, il bourbon
D.D.Z. Ahahaha, vero!
L.P. Eravamo al Florentia. Domenico ci ha aggiunto “experience”. L’idea era di suonare in quattro, però … Non c’è e non ci sarà un quarto

Ultima domanda: progetti per il futuro ?

L.P. Dobbiamo fare un EP. Prima registrazione firmata Nicolas Bass
D.D.Z Conquistare la contea di San Benedetto a colpi di rock… E creare un ep
M.C. Nel divertimento cerchiamo seriamente di riportare un po’ di musica in giro…. cosa che manca, in generale…Magari si, con un ep, un disco… o magari altro…

Faccio cose, vedo gente: Sargano

SarganoSargano, come l’ulivo, come la pazienza e la cura certosina che si impiega per fare l’olio.
Sargano come un albero sotto cui sedersi e raccontarsi storie.
Sargano come un mondo più semplice e più vero.
Sargano come la band del “magico” Filippo Piunti (QUI il canale soundcloud, QUI la pagina facebook), che abbiamo letteralmente visto nascere nella sala prove del CentroGiovani. Ricordiamo ancora la prima prova fra Filippo ed Anselmo, ed il primo impatto con Filippo e la sua timidezza gentile. La formazione poi, troverà la quadratura del cerchio con Mattia Valentini al piano (anche apprezzato DJ su scala nazionale), e Mirko Capretti (basso anche per i Tema per Nona)

Un anno di vita, un mini ep di 5 brani ( Sargano EP), la crescita esponenziale della band (sempre più rodata dai vari live set) e piccole/grandi soddisfazioni che iniziano ad arrivare (i nostri sono semifinalisti nel “Premio Bertoli”, con la loro “In Piena”, nella sezione nuovi cantautori) . Di tutto ciò (ed altro) ne abbiamo parlato con il disponibilissimo Filippo:

Iniziamo con un pò di storia: i chi, dove, come, quando e perché del progetto Sargano. Altrimenti detto, un pò di storia della band.

Agli inizi del 2014, dopo la perdita del lavoro e quella della mia musa, mi ritrovai un vuoto clamoroso da riempire. Decisi così di riprendere la mia prima chitarra, una Eko made in Cina comprata 4 anni prima per conquistare colei che mi avrebbe poi distrutto il cuore: nascono di getto “in piena” e “verde”. Suonavano abbastanza bene e le feci ascoltare al mio guru Paolo Forlì che le apprezzò molto e mi consigliò di spingermi oltre.
Solo allora misi un avviso da Giocondi nel quale cercavo un batterista volenteroso di intraprendere un percorso insieme e rispose il nostro Anselmo Buonamici, magico personaggio che mi ha fatto scoprire il Centro Giovani.
Primi ritmi, primi intoppi… manca un piano! Mattia Valentini ci venne in soccorso e benedì il progetto portando con se Mirko Capretti e il suo basso.
Il nome viene da un ulivo gigante che sta davanti “casa vecchia”: mio padre mi racconta che quando suo padre Filippo nacque nei primi del 900, la pianta aveva le stesse dimensioni di oggi e questa cosa mi ha sempre affascinato.

Avete fatto uscire, lo scorso anno, un EP di cinque tracce (4 + 1 cover di Moltheni, “Per carità di Stato”). Dall’ascolto si evince, oltre ad un rimando a musicisti come Moltheni, Benvegnù ma, più in generale, a tutta la nuova leva del cantautorato italiano, anche una profonda urgenza espressiva. Come a voler buttare fuori storie che si sono tenute per molto tempo dentro. Sbaglio ?

Non sbagli affatto! Purtroppo ho iniziato tardi a strimpellare qualcosa e nel frattempo accumulavo esperienze di vita, emozioni nuove, musica nuova… Il motivo per il quale cerco di scrivere canzoni è proprio quello di raccontare delle storie di vita quotidiana che possano far riflettere, che spostino l’attenzione sui problemi del mondo di oggi. Non mi piace la musica che “fa divagare” perché distogliere lo sguardo aiuta ma se lo si fa spesso si rischia la cecità, il menefreghismo, l’apatia.
Poi ci sono quei generi che, anche senza testi o con testi disconnessi, riescono a far vibrare le clavicole: penso alla musica dei Mogwai, Giardini di Mirò, Verdena.. Goduria pura insomma 🙂

Dici che hai iniziato tardi, quanto tardi ? E quale è stata la spinta iniziale, quella che ti ha fatto passare da sotto a sopra il palco ?

Considera che dai 21 ai 27 anni ho organizzato concerti in quel di Ancona, anche qualcosina in zona, e molti dei protagonisti del panorama indie italiano di quel periodo li ho conosciuti, li ho studiati.. Purtroppo da 2/3 anni a questa parte il settore ha perso molto in contenuti e, anche se gli addetti ai lavori sostengono il contrario, credo che la musica indie italiana si stia avvicinando pian piano al mainstream (vedi i recenti approdi al festival di Sanremo). Proprio da qui è venuta la spinta di cui parli: regalarmi quelle sensazioni che non provo più quando vado nei siti di streaming del genere.

Dici che la musica indie italiana ha perso in contenuti, secondo te perché ? Mancanza di voglia o menefreghismo da parte del pubblico che invece richiede prodotti di evasione ?

Secondo me una cosa tira l’altra, nel senso che il menefreghismo del pubblico spinge alcuni musicisti a occuparsi di materiale che “arriva prima” pur di fare un po’ di successo, pur di suonare. Anche le etichette hanno la loro fetta di responsabilità nel dettare i tempi a chi scrive e a chi compone.

Trasponendo la situazione a livello locale invece ?

In zona ci sono progetti molto interessanti, suffragati da strutture e organizzatori di eventi che danno loro un po’ di visibilità. Purtroppo son sempre le cover-bands ad avere la meglio, foraggiate dal turismo che c’è in riviera… Si andrebbe su un discorso troppo ampio e complicato quindi meglio lasciar perdere, non voglio far la parte del giovane che si lamenta. Conosco anche delle persone che suonano le loro canzoni soltanto a casa e che hanno il piacere di farle ascoltare solo ai propri amici: ti assicuro che son talenti nati e mi sgolo per cercare di convincerli ad uscire ma finora non ce l’ho fatta con nessuno tranne che con me stesso.

Tornando a te, nei tuoi testi racconti storie, trasfigurate da un linguaggio che cerca la poesia attraverso la semplicità. Quanto lavoro ti richiedono i testi ? Nasce prima la musica o il testo ? E modelli di riferimento, ce ne sono ?

I testi sono la cosa più difficile per me… Prima nasce la melodia e poi, a seconda della sensazione che mi lascia, cerco di darle parole usando un linguaggio che non è più lo stesso dell’ep ormai. Non ho un vero e proprio modello ma invidio le pause e lo stile di Luigi Tenca, frontman dei ManzOni, che sento vicinissimo a livello di sensibilità ma ancora molto lontano dai miei modestissimi appunti. E’ tutto un ricercare, leggere, ascoltare.. soprattutto ascoltare se stessi e la natura.

Interessante il rimando alla natura, nei testi infatti ricorrono spesso immagini naturali, spesso legate, anche, al mondo ed al sapere contadino.

Abito in campagna e i miei sono agricoltori. Da loro ho imparato a crescere con l’indispensabile ed essendo anche figlio unico ho sempre avuto il bisogno di comunicare, soprattutto di trasmettere le tradizioni rurali di queste terre. In questa folle corsa verso il futuro, non stiamo forse perdendo un po’ di pezzi per strada? Ecco, il progetto Sargano lo immagino come un raccoglitore di queste parti di noi.

E questo “raccoglitore” che progetti serba per il futuro ?

Fra poco pubblicheremo il video di “in piena” sul nostro canale youtube, per fine estate poi abbiamo in mente di far uscire un nuovo pezzo, fresco e un po’ fuori gli schemi dell’ep.
In vista di un futuro più lontano, invece, stiamo per iniziare i lavori del nostro primo album di cui ne ho una mezza idea ma non voglio parlartene adesso 🙂